La corsa di Emil Zatopek

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A Losanna, nel parco olimpico, c’è la statua di un corridore con il volto trasfigurato, ansimante, che pare correre nel bosco. E’ Emil Zatopek.⁣
Iniziò a correre negli anni Trenta, sedicenne, a Praga, quando il calzaturificio in cui rifilava le suole organizzò una gara podistica tra i suoi operai, regalando loro un paio di scarpe ciascuno. All’ultimo momento ci fu una defezione, e poiché restarono liberi un paio di scarponi, il proprietario lo mandò a chiamare e gli disse: “Corri tu”. Le scarpe erano di due numeri più grandi ed Emil non aveva mai fatto una corsa di fondo in vita sua. Arrivò secondo, e chiunque altro ne sarebbe stato felice. Ma lui no; anzi, ci rimase male. Quindi decise di allenarsi un po’.⁣
Lo faceva di notte, perché iniziava a lavorare all’alba e finiva al tramonto, e non aveva di certo la pausa pranzo. Nel cuore della notte, allora, tra le umide vie di Praga, correva, per tre, quattro ore di fila. Chi lo vedeva, pensava sempre che stesse per morire, perchè Zatopek correva con la schiena dura, dritta, la testa reclinata su una spalla, la bocca spalancata per respirare, ansimando forte, tanto che sarebbe stato chiamato “Locomotiva umana”. Perché correva così? Nessuno lo sa, ma lui una volta disse: “Probabilmente non ho abbastanza talento per correre e sorridere al tempo stesso”.⁣
E così correva, soffrendo, senza fermarsi mai.⁣
Il suo motto era: “L’allenamento come abitudine” e “Se l’allenamento è difficile, la gara è facile”.⁣
Emil era un cavallo da corsa con l’attitudine di un mulo. La “sua” gara erano i 10.000 metri: la vince per quaranta volte consecutive, in tutte le occasioni possibili.⁣
Campione olimpico a Londra 1948, all’avvicinarsi dell’edizione del 1952, a Helsinki, tutti pensavano che avrebbe vinto facilmente sia i 5000 che i 10.000 metri. Ma gli organizzatori cercarono di impedirglielo: fissarono le finali delle due gare a quarantotto ore di distanza l’una dall’altra, in modo che gli atleti dovessero sceglierne solo una. Emil aveva già trent’anni e non scelse. “Basterà allenarsi di più” disse, e aumentò l’intensità della sua preparazione.⁣
A Helsinki vince entrambe le gare, stabilendo due record del mondo; nella “sua gara”, i 10.000, doppiò tutti gli avversari. Ma non era finita: ricominciò ad allenarsi la mattina successiva, perché, dopo qualche giorno, si sarebbe disputata la maratona.
Zatopek non ne aveva mai corsa una in vita sua, e forse non aveva neanche mai pensato di partecipare. Ma la notte dopo aver vinto la medaglia d’oro nei 10.000 aveva sognato il padrone del calzaturificio di Praga che gli diceva: “Corri tu”. E così, tra lo stupore e l’incredulità, si presentò alla partenza e si fece assegnare una pettorina.
Si fece indicare il favorito e decise che gli avrebbe corso accanto. “Se ce la fa lui, ce la faccio anche io” pensò. Ma il favorito sembrava correte troppo piano e così, al diciannovesimo chilometro, decise di accelerare al “suo” ritmo, lasciando tutti indietro. Corse fino alla fine senza mangiare nè bere, come faceva di notte, a Praga, quando si allenava per quattro ore di filate. Nel momento in cui il grande favorito arrivò al traguardo, Emil si era già cambiato e stava mangiando una mela.
Aveva stabilito il terzo record del mondo consecutivo.
Una sola cosa non riuscì a battere: la Primavera di Praga, quando, di fronte all’invasione dei carri armati sovietici, si schierò dalla parte dei progressisti, fu degradato e mandato al confino a scavare in una miniera di uranio. Eppure, nemmeno in quei giorni rinunciò a correre, con la testa reclinata sulla spalla e il viso teso in una smorfia: la fatica di allenarsi è un’abitudine che piega il corpo, ma tiene dritto lo spirito. Ed è per questo che, oggi, se vi fermate un po’ accanto alla sua statua, e ascoltate bene, potrete sentirla ansimare.

[Estratto dal libro: Goals – 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili]

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