“La gara viene vinta dal corridore che riesce a soffrire di più, e chi crede che io sia arrivato facilmente alle vittorie, non sa quanta sofferenza mi sono costate”.
In carriera, Eddy Merckx ne ha messe insieme 525, di vittorie: cinque Tour de France, cinque Giri d’Italia, una Vuelta di Spagna, sette Milano-Sanremo, due Giri delle Fiandre, tre Freccia Vallone, tre Parigi-Roubaix, cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Campionati del mondo e un elenco lunghissimo di “classiche minori”, piccoli giri e altre corse.
Il soprannome “Cannibale” non gli è mai piaciuto, ma è appropriato, perché riassume la sua bulimia da vittoria, il fatto che agli avversari non lasciava mai neppure le briciole. Non era mai sazio, e il modo in cui riusciva a trionfare è riassunto in due parole: dedizione e serietà.
La dedizione era quella che ci metteva ogni giorno in allenamento: Merckx era conosciuto perché pedalava per ore in qualunque condizione atmosferica.
Gli allenamenti svolti in preparazione del suo primo Tour de France avrebbero fatto piangere anche il ciclista più appassionato: più di trecento chilometri al giorno, ogni giorno.
E dire che, oggi, uno come lui non otterrebbe neppure la licenza sportiva: un cardiologo piemontese, Giancarlo Lavezzaro, lo visitò ad Alba nel ’67 e gli riscontrò una miopatia ipertrofica non occlusiva, cioè un cuore a rischio d’infarto.
“Allenamento è la parola chiave di tutto: allenamento, allenamento, allenamento. Più corri più la tua mente si abitua alle situazioni di gara e più sei capace di governarle”.
All’apice della sua carriera, cambiava fino a cinquanta biciclette in un solo anno, e non era un’epoca in cui nel ciclismo girava il denaro di oggi, e neppure un periodo in cui un minimo danno a una bici comportava un calo significativo di una performance.
Le cinquanta biciclette di Merckx venivano proprio consumate.
E poi la serietà, un requisito che Merckx riassume in un ragionamento semplice, ma inoppugnabile:
“So di essere un corridore forte. Se sono al via di una corsa, gli organizzatori, gli altri corridori, il pubblico si aspettano che io possa lottare per la vittoria. Se non lo faccio, non sono serio con loro. E’ chiaro che in una corsa di tre settimane non si possono vincere tutte le tappe, ma è giusto comunque provare a vincere ogni volta che si può”.
[Estratto dal libro: Goals – 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili]