Uno stimato chirurgo d’Inghilterra ha una foto appesa nel suo studio.
Ritrae un giocatore di una squadra inglese di pallacanestro, e la cosa bizzarra è che quel medico non segue la pallacanestro, e chi gli ha mandato lo scatto non è un parente, tantomeno un amico.
E’ un velocista chiamato Derek Redmond.
Alla fine degli anni Ottanta, Derek è probabilmente il miglior quattrocentista del suo Paese, e i 400 metri sono una di quelle discipline tremende: non è velocità, poiché sul giro di pista non si riesce a mantenere lo sprint veloce, ma non è neppure mezzofondo, poiché bisogna comunque spingere sempre al massimo.
Insomma, è una gara per veri duri. E Derek lo è: gareggia con l’amico-rivale Roger Black, con cui costituisce una staffetta affiatata, e fino a che i muscoli tengono vince anche un paio di ori, ai Giochi del Commonwealth e all’Europeo di Stoccarda. Ma non senza mille difficoltà: è potente, ma fragile, e si fa male ben otto volte.
Una volta si rompe pure il tendine d’Achille, l’infortunio più doloroso per i corridori.
Salta così l’Olimpiade di Seul, ma riesce a rimettersi in forma per la successiva, a Barcellona, nel 1992.
Arriva alla semifinale, e gli statunitensi sono, come al solito, tra i favoriti.
Derek sa bene cosa ha passato per arrivare lì.
Respira, ascolta il cuore, e parte bene. Ma metà gara si blocca: il bicipite femorale destro si strappa come una corda di violino. Una fiammata. Derek rimane per un istante senza fiato, in mezzo alla pista, e nessuno si accorge di lui. Gli americani corrono verso il traguardo.
E Derek…in fiamme…fermo…no, non fermo. Saltella su un piede solo, pur di finire la gara.
Il pubblico, ora, lo guarda. E dagli spalti si alza una persona, che gli corre incontro: è suo padre.
Derek si appoggia a lui, stringe i denti, saltella ancora e, insieme al padre, supera la linea del traguardo. Solo allora Derek accetta di fermarsi non di arrendersi.
Gli occhi di tutto il mondo sono su di lui, e se la memoria collettiva ha già dimenticato i nomi dei vincitori di quella gara, non ha dimenticato quelli dei signori Redmond mentre passavano la linea di fine gara.
E il chirurgo? Dopo le prime operazioni dice a Derek che “la sua carriera è finita ed è l’ora di trovarsi un lavoro vero”. Solo che non ha capito di che pasta è fatto lui. E così, due anni e mezzo, e sette operazioni, più tardi, Derek decide di mandargli quella cartolina: c’è lui, con la maglietta della squadra di basket dei Britain’s Birmingham Bullets, e una bella dedica.
[Estratto dal libro: Goals – 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili]